Un’uscita fuori porta

Ho trovato un sito che vi permetterà di scegliere tra i tanti giardini italiani da visitare. Io ho ovviamente scelto quelli del Piemonte. Ognuno ha una scheda descrittiva e una fotogallery che vi aiuterà a decidere su quale visitare. Per un’uscita “fuori porta”.
giardini

Una storia vera

Vi propongo un sito, di cui vi riporto il link , che raccoglie tante storie di vita vissuta in classe
Ecco una delle “storie” che mi ha colpita
Credo che non ci sia insegnante che non abbia in borsa una biro; possono mancare le chiavi di casa, gli occhiali o i fazzoletti di carta, ma una biro c’è sempre. Anzi, spesso la biro è accompagnata da matita e gomma (non si sa mai). Io non sfuggo alla regola e, dato che sono un’ansiosa, di biro ne ho sempre almeno due, una delle quali rigorosamente con inchiostro nero per le firme sui documenti ufficiali (una volta nella scuola si usava così: le firme dovevano essere assolutamente in nero e le bidelle giravano con i fogli e le biro d’ordinanza nel caso che qualche sprovveduto avesse tentato di firmare in blu). Come dicevo, io di biro ne ho sempre due. Una di queste dimora nella mia borsetta da almeno 15 anni, le ho cambiato il refill diverse volte ma l’involucro è sempre lo stesso: smalto blu con finiture in metallo dorato. Quindici anni fa c’era anche la sigla di una banca, ma è scomparsa col tempo. Questa biro ha per me un valore inestimabile: mi ricorda Roberto. Gli alunni dovrebbero essere tutti uguali, tutti dovrebbero ricevere da noi le attenzioni necessarie e io ho sempre cercato di essere imparziale, ma devo confessare che ci sono stati alunni più uguali degli altri, alunni magari non bravissimi, ma che, come dico io, non sono rimasti nel cuore ma nel fegato. Roberto è stato uno di questi.
Capelli nerissimi e ricci, visetto non bellissimo, ma vivace, occhi neri, Roberto era l’unico figlio di una mamma rimasta vedova molto presto, che tirava su questo figlio con tutta l’attenzione e tutto l’amore del mondo (a lui aveva sacrificato la possibilità di accompagnarsi con un altro uomo che aveva avuto l’unico torto di non essere gradito al figlio). La mamma aveva un buon lavoro in banca e a Roberto non mancava nulla del necessario. Era molto sveglio, ma non si sfiniva sui libri, stava attento in classe e faceva quel tanto che gli permettesse di non correre rischi di bocciature, in tutte le materie tranne che in Matematica, una delle mie materie. In Matematica era veramente brillante, entusiasta, non si accontentava mai della prima soluzione e ne cercava sempre di più efficaci, non sopportava di non finire qualche esercizio e ci si applicava senza risparmio. Tutto questo per un anno. Roberto alla fine della prima media ha cambiato casa si è trasferito in casa del nuovo papà che nel frattempo, con tanta pazienza, era riuscito a farsi accettare dal ragazzo. La mamma, preoccupata per il fatto che il suo lavoro non le permetteva di stare più vicina al figlio, lo aveva iscritto a una scuola privata nella nuova zona. Dopo qualche mese di lontananza, una sera, suona il telefono, dall’altra parte la mamma di Roberto in lacrime: “Glielo dica lei che non deve comportarsi così!” Che cosa era successo? Roberto, abituato a me che lo trattavo da persona responsabile e accettavo le sue affermazioni se sufficientemente ragionate e logiche, aveva dato del deficiente al professore di matematica che, a una sua obiezione, aveva risposto che era come diceva lui e basta. Ovvia la sospensione, con altrettanto ovvio rifiuto di Roberto di tornare a scuola. Da quella sera, le telefonate si sono fatte frequenti con Roberto che si sfogava con me e io che gli facevo la predica, però lui alla fine si è anche laureato!
E la biro, direte voi? La biro mi era stata data dalla mamma durante un consiglio di classe, lei aveva chiesto un permesso per essere presente e mi pare che fosse anche rappresentante dei genitori, una mia collega aveva preso la mia penna e io la stavo cercando sulla scrivania per annotare qualcosa, la signora si è alzata e mi ha porto la sua dicendomi che, se ne avevo bisogno, potevo tenerla. Da allora l’ho sempre tenuta con me.
Qualche mese fa, casualmente, al mercato sotto casa, ho incontrato la mamma di Roberto che mi ha riconosciuta e mi ha chiesto se mi ricordavo di suo figlio: le ho fatto vedere la penna.

Riflessione di una maestra che fa emozionare.

Sul sito di cui vi indico il link ho trovato una riflessione di una maestra sull’insegnamento e sui suoi alunni che mi ha fatto emozionare. Ve la propongo

Non sono impazzita. Oggi vorrei dire sottovoce una cosa, un’emozione che ho provato così all’improvviso di fronte ai miei ventiquattro alunni di seconda e poi più tardi di fronte ai quindici alunni di prima, che ancora non sono una classe, non nel senso di gruppo, ma che presto lo diventeranno. Ebbene mi sono resa conto di essere profondamente e perdutamente innamorata dell’idea dell’insegnamento, di riuscire a fare cose che rendono il tempo passato con i miei alunni “bello” e produttivo. Non conta la fatica, le energie per imporsi di fronte al loro tracimare non appena si allenta la corda, o almeno non conta più quando si è all’obiettivo: un testo fatto bene, una proficua chiacchierata, una nuova scoperta, un traguardo faticosamente raggiunto. E non c’è tempo per dormire sugli allori, dopo un traguardo ne serve un altro, dopo un nodo sciolto un altro si forma. Il nostro, quello dell’insegnamento, è un continuo dipanare matasse, di idee che si intrecciano a volte bene a volte disordinatamente, un cucire e un ricucire, smontare e rimontare, ma quando finalmente nella mente di un bambino l’idea si libera facendogli dire “ho capito”, ecco viene da urlare di gioia insieme a lui.
Questa non è una dichiarazione romantica, noi dobbiamo voler bene e accudire senza essere romantici, ma puntando all’obiettivo di far crescere un bambino, mettendoci spesso la forza di volontà che lui si nega e che altri gli negano. Ecco perché a volte siamo così svuotati e così stanchi. Poi ci basta poco: un compito ben eseguito, un esercizio compreso e la vita torna a sorridere di speranza. Noi gioiamo dei successi e soffriamo degli insuccessi come se fossero nostri personali, ci arrabbiamo ed esultiamo, piangiamo e poi ridiamo a squarciagola. Così è la vita di un insegnante perdutamente innamorato di un’idea, impegnato a far vivere quell’idea negli alunni che imparano, e mentre loro imparano anche lui mette da parte un altro piccolo pezzo di esperienza da usare in futuro.